Sulla bioetica, e in particolare sulla gestazione per altri, vi è chi sostiene che invocare l’autodeterminazione della donna, gestante o madre sociale, sia del tutto inappropriato, in quanto la stessa non sarebbe un “diritto”. In primo luogo perché il principio di autodeterminazione nascerebbe nel diritto internazionale come autodeterminazione di un popolo nella scelta del proprio sistema di governo, senza interferenze da parte di altri Stati; dall’altro perché l’analogia che si opera con l’aborto sarebbe fuori luogo, trattandosi in questo caso non di un diritto bensì una responsabilità “non relazionale”, coniata dall’elaborazione politica del femminismo e sottratta al bilanciamento con altri interessi contrapposti. La tesi, in ultima istanza, mira ad evitare che la scelta a monte della gestazione per altri sia riconducibile nell’alveo dei diritti e delle libertà personali.

L’impossibilità della sua qualifica giuridica è funzionale al suo disconoscimento, nella prospettiva estrema del ricorso alla reazione repressiva penale, senza se e senza ma. A ben vedere oggi l’assunto può riferirsi alla gestazione per altri, ma domani, in un sistema ordinamentale sempre più liquido e incerto, potrebbe minacciare ogni declinazione del principio di autodeterminazione in campo bioetico. Si pone allora il rischio della concreta negazione della libertà “originaria” della persona, cardine della civiltà occidentale (se si vuole, a partire dalla Magna Charta libertatum), civiltà che postula la centralità della persona e la sua libertà, mutevole con il mutare dei tempi. Ebbene il Diritto vivente è qualcosa che non può essere cristallizzato ma che si plasma continuamente spinto, da un lato, dalle trasformazioni sociali, dall’altro, dall’opera degli interpreti.

Questo impone a maggior ragione la necessità di tenere ben saldi i principi fondamentali su cui si regge un sistema di valori. Nel campo della bioetica – perché di questo si tratta – il diritto di autodeterminazione è strettamente connesso, da un lato, al diritto alla salute, dall’altro alla libertà personale. Non è mai assoluto, ma necessariamente relativo, perché si relaziona con diritti e libertà altrui e con obblighi pubblici. Questo inquadramento giuridico consente, specularmente, di esigere una prestazione di assistenza da parte dello Stato e degli operatori sanitari e, nei casi estremi, la giustiziabilità  di eventuali inadempienze, inerzie, carenze.

Il diritto all’autodeterminazione – perché di diritto si tratta, come chiarisce da decenni la giurisprudenza nazionale e sovranazionale – deriva dal principialismo nordamericano che si fonda sul rispetto della decisione dei soggetti  e assurge a condizione ontologica dell’essere umano, cosciente e non cosciente. La genesi di tale evoluzione, già delineata nei Trattati internazionali sulla bioetica, sui diritti riproduttivi e sulla salute, trova fondamento, in Italia, proprio sulle ragioni storico-giuridiche a monte della L. 194, legge che nel 1978 ha legalizzato l’aborto a date condizioni. La Corte Costituzionale nel 1975 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale, che punisce l’aborto, nella parte in cui prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo grave, medicalmente accertato, non altrimenti evitabile per la salute della madre. Questa sentenza – che declina il diritto alla salute della donna, bilanciandolo con altri valori di pari dignità costituzionale – ha posto le basi  per delimitare i casi e le condizioni di liceità dell’aborto.

Successivamente il diritto all’autodeterminazione della persona si è affermato come declinazione non solo della salute, ma più in generale della stessa libertà personale, intesa nella forma più profonda di integrità psico-fisica della persona, che trova fondamento nei principi fondamentali della Carta Costituzionale (artt. 2, 3, 13, 32 Cost.). Spingere in un limbo giuridicamente nebuloso l’ ”autodeterminazione” significa arretrare sul campo dei diritti e delle libertà personali. Sotto ogni punto di vista. E le donne, questo, proprio non possono permetterlo.