Donne e nomine RAI: un intervento di Antonella Anselmo

DONNE E NOMINE RAI… SI CAMBIERÀ MAI?

Direzione di rete, di canale e di testata: l’assenza di un numero significativo di donne nel corso delle ultime nomine RAI ha sollevato una forte reazione da parte di sindacati, giornaliste, associazioni di donne.

Anche la Commissione parlamentare di vigilanza ha chiesto chiarimenti alla concessionaria.

Da ultimo, la Consigliera Nazionale di Parità ha presentato la propria diffida: atto doveroso, peraltro, attesi i compiti istituzionali assegnati a tale Organismo dal Codice delle Pari Opportunità (Decreto Legislativo 198/2006 e ss.).

La politica partitica, si sa,  non si limita a vigilare ma determina anche l’esito delle scelte nel mondo RAI. Fatto notorio che svela la trasformazione delle funzioni di controllo pubblico in patronato politico, del pluralismo in lottizzazione, con buona pace della mission del servizio pubblico generale nel settore radio televisivo.

Tanto rumore per nulla?

Non credo. L’esito della protesta contro i vertici Rai porterà, nella migliore delle ipotesi, ad una revisione delle nomine, con qualche inserimento in “rosa”.

Ma non basta.

Credo che i tempi siano maturi per pretendere un cambiamento di passo, verso la trasparenza, l’indipendenza del servizio pubblico generale e il rispetto delle regole: tra queste è imprescindibile il rispetto dell’eguaglianza tra uomini e donne. Non una tantum: da ora e per il futuro.

Torna utile rammentare che il Codice per le Pari Opportunità non è una raccomandazione: è legge dello Stato, con cui la Repubblica adempie ad obblighi euro-unitari.

Questa legge pone come obiettivo (art. 1)  la parità di trattamento tra donne e uomini, il contrasto a tutte le forme di discriminazione, anche indiretta, la promozione delle pari opportunità, in ogni settore, pubblico e privato, e ad ogni livello di governo.

Ma l’obiettivo necessita di monitoraggio costante.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base delle informazioni fornite dalle Consigliere nazionale, regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta, nonché delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale di parità, acquisito il parere del Dipartimento per le pari opportunità, presenta al Parlamento, ogni due anni, una Relazione contenente i risultati del monitoraggio sull’applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del medesimo decreto legislativo (art. 20 Cod.PP.OO.).

Le discriminazioni, si sa,  possono essere dirette o indirette.

La  “discriminazione indiretta” si configura quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri, mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (art. 25/2 Cod. PP.OO.).

L’atto discriminatorio è così grave che la giurisprudenza lo dichiara nullo perché lesivo dei diritti fondamentali della persona e della dignità sociale.

È quindi vietata la discriminazione nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro (art. 27 Cod. PP.OO.); è vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera (art. 29 Cod. PP.OO).

Ma altre sono le disposizioni del Codice PP.OO. fino ad oggi ignorate nella vicenda Rai: gli articoli 46 e 49.

Ai sensi dell’art. 46  “1. le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
2. Il rapporto di cui al comma 1 è trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità, che elaborano i relativi risultati trasmettendoli alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
3. Il rapporto è redatto in conformità alle indicazioni definite nell’ambito delle specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto. 
4. Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano il rapporto, la Direzione regionale del lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520. Nei casi più gravi può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.

Sarebbe interessante comprendere lo stato di questa “rendicontazione sociale”. Quali inerzie o quali azioni siano state garantite da parte dei soggetti che, per legge, sono tenuti a monitorare e vigilare.

Inoltre, con particolare riguardo al settore radiotelevisivo (art. 49, Cod. PP:OO) “1. La concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparità tra i due sessi in sede di assunzioni, organizzazione e distribuzione del lavoro, nonché di assegnazione di posti di responsabilità. 2. I concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e della remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II”.

Ho riportato per esteso le disposizioni di legge perché sono chiarissime. Non pongono nessuna difficoltà ermeneutica.

Si applichi allora per intero il Codice delle Pari Opportunità: monitoraggi, relazioni, vigilanza, azioni…con costanza e rigore, per prevenire discriminazioni di genere.

Allora sì che le cose cambieranno, non solo per le donne, ma per la collettività.