La modificazione “in corso d’opera” del provvedimento di vincolo

LA MODIFICAZIONE “IN CORSO D’OPERA” DEL PROVVEDIMENTO DI VINCOLO

di Fabrizio Lemme

         Mi è capitato di recente un caso assai interessante, che voglio esporre ai miei lettori, ovviamente – come è mio solito – in forma anonima e generica.

         Una casa d’aste operante in Italia pone in vendita un insieme di reperti archeologici, appartenenti ad un unico proprietario e che avevano formato oggetto di dichiarazione di interesse storico-artistico particolarmente importante.

         Peraltro, il provvedimento di vincolo aveva avuto origine da una comunicazione dell’Amministrazione interessata (il c.d. “preavviso”) nella quale si sottolineava che il vincolo non riguardava la collezione in quanto tale ma gli oggetti singolarmente considerati e singolarmente descritti ed illustrati.

         Va premesso, a questo punto, per una più esatta comprensione, che il nostro Codice dei beni culturali (D.Lgs. 42/04), nell’art. 10, contempla due differenti tipologie di vincolo:

  1. quello afferente ad oggetti considerati singolarmente;
  2. quello afferente ad una collezione nel suo insieme.

Diversi sono gli effetti relativi a tali distinte tipologie: nel primo caso, ogni reperto può essere alienato nella sua individualità ed il trasferimento comporta l’obbligo di comunicare alla P.A. il risultato ottenuto sul piano economico, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione; nel secondo caso, la collezione non può essere smembrata ma deve passare di mano nella sua integrità e sempre con il diritto di prelazione da parte dello Stato.

La legge offre anche elementi di riconoscimento e differenziazione tra le due categorie: nel caso della “notifica individuale”, l’interesse storico-artistico deve essere “particolarmente importante”; nel caso del “vincolo collezionistico”, l’interesse deve essere “eccezionale e riconducibile ad una chiara fama della collezione nel suo insieme”.

Nel caso di specie, il provvedimento finale di vincolo:

  1. richiamava, senza alcuna modifica, la comunicazione iniziale, che escludeva il vincolo collezionistico;
  2. illustrava i singoli reperti, senza fare alcun riferimento ad una nuova e differente tipologia, i cui effetti sarebbero stati assai più pregnanti, consistendo essenzialmente nella impossibilità di separare, oserei dire con paragone un po’ blasfemo, “quod Deus coniunxit”.

Il Ministero, nella persona del Direttore Generale, ricevuta la comunicazione della effettuazione dell’asta, ne vietava lo svolgimento: a suo dire, l’insieme di reperti era stato notificato con il vincolo collezionistico e quindi non era lecito smembrare l’insieme, vendendo in asta i singoli reperti.

Ci si chiede, in questa situazione, se il provvedimento di divieto dell’asta possa considerarsi legittimo.

Per rispondere al quesito, si parta da un presupposto giuridico assai importante: la procedura di dichiarazione del vincolo è strettamente disciplinata dalla legge ed in essa è previsto un contraddittorio necessario con il soggetto interessato.

A questi, infatti, l’avvio della procedura va previamente comunicato con “preavviso”, per conoscere quali siano le sue osservazioni.

Ora, mi sembra di palmare evidenza, anche per un non giurista, che il privato, ricevuta la comunicazione che la P.A. intenda apporre il vincolo ai suoi reperti, singolarmente considerati e senza il vincolo collezionistico, possa avere interesse anche a non opporsi: gli oggetti, infatti, sono individualmente cedibili e la dichiarazione che il loro valore intrinseco sia di particolare importanza può anche avere riflessi positivi.

In questa situazione, ci si chiede: la comunicazione iniziale vincola anche il provvedimento finale o questo può rovesciare la situazione, modificandola nella sua essenza ed introducendo una tipologia di vincolo nuova ed assai più pregnante?

La risposta mi sembra evidente: modificare in itinere, senza alcun preavviso al privato e senza nuovi termini per sue osservazioni, un provvedimento iniziato con altri e diversi presupposti e con un differente risultato finale si risolverebbe nel violare la regola del contraddittorio e mutilare il diritto di difesa.

Sarebbe, in altri termini, come ipotizzare che un soggetto, tratto a giudizio per rispondere di omicidio colposo, possa essere poi condannato, senza la necessità di alcuna modifica della imputazione, per omicidio volontario!

Certo, in materia penale il bene in contesa è quello, sommo, della libertà personale; nel caso di specie, il bene in contesa è solo di natura patrimoniale e quindi, oggettivamente, di minor rilievo.

Ma il paragone è calzante e l’esemplificazione è suggestiva!

E non è inutile aggiungere come ulteriori rilievi escludessero, nel caso di specie, il vincolo collezionistico.

Infatti, l’interesse storico-artistico richiamato era quello “particolarmente importante”, previsto come parametro ordinario in ogni vincolo individuale.

Nessun accenno, neppure implicito, si faceva all’interesse eccezionale che deve sussistere per vincolare una collezione e che deve avere i suoi presupposti fondamentali nella chiara fama acquisita dalla raccolta d’arte nella considerazione generale.

Non senza richiamare l’art. 42 Cost., il quale, ponendo la possibilità di limitare la proprietà privata in nome della funzione sociale della stessa (II co.), riserva alla legge tale facoltà, sia pure con una “riserva relativa”, non consentendo all’Amministrazione di forgiare a suo libito vincoli diversi ed ulteriori da quelli normativamente previsti e procedimentalmente disciplinato.

Quindi, in difetto di indici sintomatici del provvedimento di vincolo collezionistico, non è consentito presumerlo al di fuori ed al di là di tali indici.

Ancora una volta, come disse nella sua storica frase Joseph Fouché, “peggio che un delitto, è stato commesso un errore”: quando l’Amministrazione, eccedendo nella tutela, vuole scavalcare la legge, finisce per indebolirla, stimolando nei cittadini la spinta a considerare lo Stato come un soggetto perverso, dal quale ci si deve difendere e con il quale non si può mai collaborare.

FL/articoli/Il Giornale dell’arte/Il Giornale dell’Arte – luglio-agosto 2019